Senza i bambini la missione sembra un involucro vuoto.
Non si sentono correre, i loro schiamazzi, non si sentono le loro voci che, dalle finestre aperte delle aule, ripetono la lezione.
Mi mancano.
Ma è il governo che impone il rientro in famiglia dei bambini durante il periodo delle vacanze scolastiche.
In famiglia per chi ha una famiglia, altrimenti siamo costretti a mandarli da parenti, da amici, da conoscenti, da amici di amici.
Ritornano nelle loro capanne in villaggi sperduti o nelle baraccopoli di Nairobi dove ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza.
Chi non ha proprio nessuno resta qua. E questa volta ne sono rimasti una cinquantina tra tutti gli studenti della scuola primaria e della secondaria che sono in tutto circa 500.
Ma il problema più grande e il pensiero che affligge tutte noi, in questo periodo di vacanza che dura quasi due mesi, è in che modo rientreranno questi bambini, come saranno le loro condizioni di salute.
Quasi tutti i nostri bambini sono affetti dal virus dell’HIV e devono quindi quotidianamente assumere un mix di medicine, condurre una vita sana e avere un’alimentazione corretta, regolare e ricca di proteine.
Quando rientrano sono in condizioni pessime. Sporchi, trasandati ma soprattutto malati perché in famiglia non hanno ricevuto le adeguate attenzioni.
Alcuni arrivano allo stremo delle forze, molti con infezioni ai bronchi, piaghe o funghi sulla pelle, altri con la tubercolosi.
L’AIDS non lascia scampo, se non ti curi muori.
Le difese immunitarie si abbassano e si può morire anche per un raffreddore.
Per noi è sempre una lotta continua in un paese dove l’AIDS è visto ancora come un tabù, come uno spirito maligno che si è impossessato del tuo corpo.
Dove le famiglie fanno smettere ai bambini di prendere le medicine per curarli con le erbe che lo stregone del villaggio prepara per loro a prezzi esorbitanti e con inutili risultati.
Non ci resta che aspettare.
Paola Pedrini
9/12/2013